giovedì, Novembre 21, 2024
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L’amianto contro il mare

Pozzillo, vicino Acireale, è un tipico concentrato siciliano. Ha il mare. Ha l’amianto. Ha poveri. Ha ricchissimi. Ha politici loschi. Ha più sportelli bancari, in proporzione, della Lombardia

C’era un manifesto per le vie della città. Abusivo ogni tanto, ogni tanto timbrato. Parlava di boxe, un incontro nella piazza del borgo. Era il 16 luglio e due settimane dopo sarebbe stata festeggiata Santa Margherita, coi marinai a distribuire pesce spada. La bestia è rimasta lì, alle spalle di pugili, preti, marinai, mogli, figli e nipoti. Tutti assieme, a respirare l’aria carica di sale di uno degli angoli di Sicilia più suggestivi, famoso soprattutto per l’acqua che fino al tramonto dello scorso millennio veniva imbottigliata nello stabilimento che ora mescola a quell’aria salata le fibre di amianto liberate ad ogni soffio di vento dall’immenso tetto in eternit.
A Pozzillo, frazione ai piedi di Acireale, pare non interessi a molti. A girare per le strade con la telecamera non parla quasi nessuno, fuggendo le domande come fossero pietrate. S’è interessato il parroco, che senza tonaca parrebbe un’adolescente: all’alba dell’anno passato ha diffuso un manifesto che parlava di “sorella morte col volto di amianto”, con tanto di signora nera dal volto scheletrico, armata di falce, accanto al testo. Niente. È rimasto tutto com’è. Sì, qualche telecamera in più, tg locali, persino la Rai nell’edizione regionale, ma niente di più.
A salire le scale della sua canonica monta l’ansia nel sentire la sua voce descrivere la distesa di fibrocemento ondulato che ogni mattina si trova sotto gli occhi. A vederlo l’ansia fugge dalla bocca aperta.
“Il rischio amianto è elevato, non è cosa da niente”, dice il direttore dell’Istituto di Ricerca Medica e Ambientale, Giovanni Tringali, che a Pozzillo c’è stato e ha coscienza del danno. Ha parlato pure davanti la telecamera, per provare a entrare nelle case della gente, dei pescatori e degli amministratori, ma niente.
Dietro le sue parole ci sta un dato terribile, che racconta che la media dei malati di mesotelioma pleurico (la forma di cancro derivata dall’amianto) da quelle parti è doppia rispetto a quella regionale: il Registro Tumori di Ragusa è impietoso, ma l’incontro di boxe s’è tenuto lo stesso dinnanzi all’ingresso monumentale dello stabilimento che abbeverò pure Ferdinando I di Bulgaria. E anche la festa di Santa Margherita. E la sagra del pesce spada. L’allarme era stato lanciato prima di quelle feste estive, con tanto di avvertimento: “La bella stagione è dannosa per i luoghi contaminati; la brezza, il vento spingono le fibre anche a grandi distanze”, ammoniva Tringali. Eppure nulla.
Neanche le immagini interne allo stabilimento, dove sarebbe vietato entrare, hanno reso giustizia al timore. Neanche la scoperta dei pezzi di tetto nascosti nei cassonetti, a loro volta nascosti nello stabilimento. Neanche la storiaccia di Luigi Sidoti, l’imprenditore catanese, ex consigliere comunale Msi e deputato nazionale, appena condannato dal Tribunale a due anni e mezzo di reclusione per malversazione: l’aveva comprata, la “Pozzillo”, ma con sette milioni di euro di finanziamenti regionali Por che avrebbe dovuto utilizzare, invece, per realizzare due alberghi in via Cristoforo Colombo.
Lì a Pozzilo è a calma piatta. Sarà che la pena all’ex missino l’hanno sospesa, povero settantacinquenne. Così Pozzillo sta lì a respirare il suo amianto, e nessuno interviene. Come per i rifiuti.
L’intera città di Acireale, con Pozzillo e le altre frazioni, fa registrare un record negativo alla voce “produzione”: secondo i parametri ISPRA in Sicilia la media di quelli urbani è pari a 521 kg per abitante, ma ad Acireale si arriva a 650. A osservare bene le carte la città litiga con la differenziata, arrivando a toccare il 5% e contribuendo a far piazzare l’Ato di riferimento, “Aciambiente”, all’ultimo posto della provincia, uno degli ultimi nazionali.
Come fa, però, a produrre tutta questa immondizia? Oltre 10.000 tonnellate in più di rifiuti urbani, quando con un gigantesco numero di operai per la raccolta potrebbe arrivare tranquillamente a toccare le cifre di differenziata della leggendaria Capannori: la “Dusty”, ditta a cui la raccolta è affidata, ha diviso le sue ramazze a ben 128 operatori che, secondo stime diffuse su tutto il territorio nazionale, dovrebbero bastare a tenere linda una città con più del doppio degli abitanti di Acireale.
Se però la telecamera prova ad andare alla “Dusty”, a prendere un appuntamento per chiedere come mai con questi numeri si lavori così male (l’Ato multa continuamente la ditta per inadempienze), o, ad esempio, come mai nel luglio scorso risultavano ben 50 assenti in un giorno solo, o a chiedere conto delle voci che dicono che il lettore di impronte digitali, che aveva sostituito il lettore di badge per le presenze, è stato distrutto più volte, fino al ritorno al vecchio lettore di badge, beh alla “Dusty” spariscono tutti, nessuno risponde.
Come nessuno, fra banche e negozi, risponde a un quesito strano: come fa una centro abitato di 53.000 anime che dichiara un totale di 420 milioni di euro di Irpef ad avere 31 sportelli per il deposito del denaro? Solo la città più ricca d’Italia, Basiglio (Mi), può competere con Acireale come numero di sportelli bancari procapite, ma, a differenza degli acesi, gli abitanti di Basiglio dichiarano a testa un reddito quasi 4 volte maggiore: 24.600 euro a fronte di 7.943. Che ci stanno a fare tutti quegli sportelli ad Acireale? Come tirano avanti?, viene da chiedere.
La telecamera di “Agendaerre”, il neonato format di provincia lanciato lo scorso hanno, ha circolato per la città per realizzare 22 inchieste che hanno restituito l’immagine della perfetta provincia italiana meridionale: una vecchia ricchezza che sta finendo in polvere, come il Codice carolingio conservato in un cassetto di un archivio storico relegato negli uffici di una scuola di provincia abbandonata per il terremoto del 2002. Sta lì, fra le crepe, ai margini di un finto sistema antincendio, sotto lo sguardo di un usciere sordomuto con la stufa tra le gambe, le erbacce che cingono l’edificio, i ragazzini che tirano le pietre ai portoni in vetro a cui amministratori lungimiranti hanno applicato le sbarre. Non si sa mai.

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