Cosa Nostra e ‘ndrangheta Due strutture a confronto
In che cosa differiscono fra loro le due principali organizzazioni mafiose? Analisi strutturale di analogie e convergenze
In Strutture. Cosa nostra e ‘ndrangheta a confronto. si è affrontata l’evoluzione storica degli assetti organizzativi di Cosa nostra e ‘ndrangheta: dal Summit dell’Hotel Des Palmes a Villa Pensabene, dal summit di Montalto all’elezione del Capo Crimine. Le due consorterie criminali hanno rivelato differenti dinamiche evolutive, legate a particolari contesti ed eventi che ne hanno determinato l’ascesa o il declino.
Segue il confronto finale delle strutture delle organizzazioni.
Organi di coordinamento
Sono state analizzate in precedenza le strutture tipiche di Cosa nostra che ne hanno accompagnato lo sviluppo. L’organo di coordinamento principale è stato per decenni la Commissione. E’ stata già chiarita la predominanza della Commissione provinciale palermitana rispetto ad altri organi come la Commissione regionale.
Questo ovviamente per l’importanza storica che ha avuto il territorio palermitano in Cosa nostra.
La tendenza al sinecismo (dunque all’unione delle varie consorterie criminali in un’unica struttura) è chiaro indice di un’aspirazione alla verticalizzazione della struttura: Cosa nostra ha il bisogno di un capo e le famiglie devono avere modo di coordinarsi, attraverso questi organi di controllo.
Bisogna sottolineare come, prendendo in esame gli ultimi quarant’anni, il capo della Commissione provinciale abbia avuto un potere concreto sull’organizzazione e sulle azioni delle singole famiglie. Nella fase “democratica” di Cosa nostra, tutti i capimandamento si esprimevano sulle questioni più importanti, ma già si poteva notare quell’affermazione di tipo assolutistico.
Stefano Bontade, ad esempio, aveva un enorme potere di influenza su tutta la Commissione, e vale la pena ricordare un episodio in cui, irritato per il comportamento dei corleonesi, afferma che avrebbe ucciso Riina la prima volta che si fosse presentato ad una riunione.
Questi atteggiamenti avrebbero poi preso piena consistenza nella figura di Salvatore Riina, che agisce come un tiranno legibus solutus con totale controllo dell’organizzazione.
Il “Crimine” e il “Capo Crimine”
Il cuore della mafia calabrese si trova nella Provincia di Reggio Calabria, la struttura di vertice che unifica la ‘ndrangheta viene chiamata “Crimine” ed è composta dagli affiliati dei 3 mandamenti della Provincia : Jonica, Centrale e Tirrenica. Il “Crimine” viene gestito a rotazione da un “Capo Crimine” che ha un ruolo di garante delle leggi ma non pianifica le attività criminose.
Questo ci fa comprendere che la ‘ndrangheta ha un’impostazione maggiormente democratica rispetto a Cosa Nostra: la storia conferma che il potere reale è spartito orizzontalmente tra i tre mandamenti della Provincia di Reggio Calabria.
Per mantenere unita l’organizzazione e non avere dispersioni è stato necessario dare una rigida struttura che permettesse sempre il controllo e la gestione del potere sull’importante espansione che si voleva portare avanti.
Le varie inchieste della magistratura stanno definendo nei dettagli un vero e proprio organigramma.
Le “Camere di Controllo”
Le “Camere di Controllo” sono organi con estensioni statali, regionali o provinciali che hanno la funzione di coordinare secondo le direttive del Crimine i numerosi locali attivi nelle aree all’infuori della madre patria.
La subalternità alla Calabria dei clan all’infuori della regione non è una novità, già negli anni ’70, tramite le filiali attive nel Nord-Italia, la ‘ndrangheta realizzava i sequestri di persona.
Ma la notizia di una vera e propria “struttura” viene scoperta grazie al collaboratore di giustizia Saverio Morabito che dichiara che la “camera di controllo lombarda “ è stata creata nel 1984. Nel 1981 nella lontana Australia si riferisce dell’esistenza di 6 Crimini che hanno rapporti di subalternità con la Calabria.
Ulteriore dimostrazione del rapporto subalterno nei confronti della Calabria è l’esecuzione di Carmelo Novella avvenuta nel 2008 a San Vittore Olona (provincia di Milano) perché voleva rendere autonomi i locali lombardi da quelli calabresi.
Le radici in Calabria
Il collaboratore di giustizia Antonino Belnome riferisce agli inquirenti «Un ‘locale’ è forte se ha le sue radici in Calabria e chi non ha questo cordone ombelicale non ha forza, […] è come una zattera nell’oceano».
La volontà di unificare la mafia calabrese si ritrova per la prima volta durante il summit di Montalto del 1969 in cui Giuseppe Zappia dice: «Qui non c’è ‘ndrangheta di Mico Tripodo, non c’è ‘ndrangheta di ‘Ntoni Macrì, non c’è ‘ndrangheta di Peppe Nirta: si dev’essere tutti uniti. Chi vuole stare sta e chi non vuole se ne va».
Un capo “di garanzia”
Se possiamo paragonare la funzione del Capo Commissione di Cosa nostra a quella del Presidente del Consiglio, dunque con un ruolo maggiormente operativo e di influenza su famiglie e mandamenti, al contrario il Capo Crimine può essere accostato al Presidente della Repubblica, date le sue funzioni di mediatore e garante delle leggi dell’organizzazione.
A livello puramente strutturale, Cosa nostra ha una forma fortemente verticistica, mentre la ‘ndrangheta ha una struttura di tipo unitario, con un capo che ha la funzione di garantire leggi, affari ed evitare conflitti.
Cosa Nostra: rapporto col territorio
Le famiglie di Cosa nostra sono saldamente legate al territorio di appartenenza, più che ad una dinastia criminale, dunque prendono il nome del quartiere o del paese in cui operano.
I clan, da questo punto di vista, arrivano in un secondo momento. Ad esempio l’arresto di capi e gregari di un determinato mandamento non comporta la sua scomparsa, ma semplicemente, nella famiglia o nel mandamento in questione ci sarà una successione della dirigenza criminale.
‘Ndrangheta: vincolo di sangue
La ‘ndrangheta ha una rigida struttura basata sul vincolo di sangue della famiglia naturale. L’educazione all’interno delle ‘ndrine si basa su valori quali l’omertà, il rispetto, la vendetta. Attraverso la conservazione della pax mafiosa i casati della mafia calabrese realizzano matrimoni combinati, inoltre, lo stretto vincolo famigliare in paesini come quelli dell’Aspromonte rende complessa la possibilità di collaborare con la giustizia.
Per locale di ‘ndrangheta si intende l’estensione del potere di più ‘ndrine in un determinato territorio. Il ‘locale’ nel paese in cui opera ha la sovranità criminale.
L’attivazione di un ‘locale’ può avvenire solo attraverso il consenso del ‘locale’ principale di San Luca.
Selezione strutturale
La successione dei capi di Cosa nostra ha attraversato fasi differenti: dall’elezione del Capo Commissione degli anni ’70, si è passati all’affermazione violenta di Riina, per poi tornare ad una fase in cui il capo viene scelto in base a criteri di capacità e carisma. Provenzano e Messina Denaro non si impongono sull’organizzazione come a suo tempo fece Riina, dunque con l’eliminazione fisica dei concorrenti. Piuttosto, è l’organizzazione che li riconosce in base ad un criterio di valutazione più o meno meritocratico.
Addirittura Provenzano, come già accennato, non ha mai un’elezione ufficiale come era stato per Riina, o ancora prima per Badalamenti o Greco. L’organizzazione, fortemente danneggiata e alla ricerca di una guida che possa risanarla, si raccoglie attorno alla figura del nuovo capo.
Anche per Matteo Messina Denaro si possono individuare le medesime dinamiche: addirittura i boss di altre province richiedono una sua legittimazione, senza che sia lui a prendere l’iniziativa imponendo la propria decisione.
Un capo dei capi solo in Cosa nostra
La ‘ndrangheta non ha mai avuto un capo dei capi sul modello di Cosa nostra. Allo scoppiare della prima guerra di ‘ndrangheta (1974-1977) i tre boss più prestigiosi erano Antonio Macrì di Siderno, Domenico Tripodo di Reggio Calabria e Girolamo Piromalli di Gioia Tauro.
Nel 1979 viene ucciso Giorgio De Stefano perché voleva diventare il capo dei capi della mafia calabrese.
La “Cosa Nuova”
Alla conclusione della seconda guerra di ‘ndrangheta viene istituita una commissione denominata Cosa Nuova, in totale erano presenti 18 affiliati: 8 della jonica, 5 del centro e 5 della tirrenica.
All’interno della ‘ndrangheta c’è una tendenza al verticismo, molti clan sono più potenti di altri, sebbene i ‘locali’ che costituiscono l’èlite della ‘ndrangheta abbiano un potere similare.