Processo a Setola: scontro tra il camorrista ed il Pubblico Ministero. E poi la realtà drammatica lascia il posto alla finzione cinematografica.
di Paolo Miggiano
L’aula è quella della Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il processo che si celebra è uno dei più importanti della storia della camorra. Il principale imputato è lui Giuseppe Setola, la belva umana, già condannato a ben otto ergastoli per quindici omicidi su 18 avvenuti sul litorale domizio nel periodo tra maggio e dicembre dell’anno 2008, tra i quali la strage dei sei cittadini Africani, trucidati il 18 settembre a Castel Volturno. In questo processo, Giuseppe Setola è imputato dell’omicidio di Mimmo Noviello, un piccolo imprenditore della zona, ucciso il 16 maggio del 2008 a Castel Volturno dal gruppo che proprio Setola capeggiava, perché alcuni anni prima aveva denunciato e fatto condannare per estorsione alcuni esponenti del clan dei casalesi. Per il lavoro che sono chiamato a svolgere presso la Fondazione Pol.i.s. cerco di seguire analoghi dibattimenti, soprattutto se sono coinvolti come parte lesa i familiari delle vittime innocenti. Questa volta sono lì anche perché Mimma Noviello, la figlia dell’imprenditore ucciso, mi ha chiesto di essere accanto al marito presente all’udienza. Lei è impegnata all’università di Caserta in un seminario con gli studenti di psicologia sul significato della memoria e dell’impegno dei familiari delle vittime innocenti. Setola è collegato in video conferenza da un’altra città dove sta scontando i suoi “fine pena mai”. Oggi Setola non si è limitato, come ha fatto fino ad ora, a rendere dichiarazioni spontanee, ma ha accettato di rispondere alle domande del Pubblico Ministero e forse è per questo che si presenta con la giacca e non con il solito maglioncino e camicia. Immancabili gli occhiali scuri. Il suo avvocato prima di iniziare l’udienza, scambiando qualche battuta con i suoi colleghi, dice: risponderà alle domande ed è anche molto preparato. L’esame dell’imputato da parte del P.M. della DDA di Napoli Alessandro Milita si presenta abbastanza complesso. Il P. M. ha una chiara strategia, sembra voler andare oltre il processo in corso e rivolge domande che infastidiscono l’imputato, il quale, vedendosi ripercorrere l’intera sua carriera criminale, respinge ogni addebito anche in relazione agli omicidi per i quali è già stato condannato. Setola si mostra contrariato quando il P.M. gli chiede quanti omicidi ha compiuto nel corso della faida che verso la fine degli anni 90 vide contrapporsi il gruppo dei bidognettiani, del quale faceva parte lo stesso Setola, ed il gruppo Cantiello. Il killer del clan dei casalesi anche sull’omicidio di Mimmo Noviello glissa ed alla domanda con la quale il P.M. gli chiede se per caso neanche l’omicidio Noviello fosse stato ordinato da lui, si limita a dire: Noviello può essere la più brava persona del mondo, ma nel 2001 ha fatto fare sei anni di carcere a Cirillo Francesco. Il ragionamento è semplice per la logica del criminale: siccome aveva denunciato un camorrista per estorsione sette anni prima e lo aveva fatto condannare, Mimmo Noviello doveva essere ammazzato. Nega tutto, Setola. Nega la strage di Castel Volturno del 18 settembre del 2008, nega di aver manifestato la volontà di far saltare in aria la caserma dove alloggiavano le forze dell’ordine che gli davano la caccia, nega di aver posseduto armi, ma conferma di avere avuto a disposizione dieci nascondigli, tutti dotati di botole per nascondersi e per sfuggire alle forze di polizia e di usare il lampeggiante sulle auto, tanto che in un viaggio per la Calabria, ad un posto di blocco i carabinieri lo avrebbero persino salutato, lasciandolo passare. E quando il P.M gli chiede quante persone ha ucciso, Setola, infastidito e ironico, risponde: trecento, quattrocento. Nega tutto il male che ha fatto, tutti gli omicidi, ma per ben dieci volte ci tiene a precisare che lui non è un pentito. Il messaggio è chiaro. Il killer sembra aver imparato bene la lezione che viene da più noti personaggi della politica, quando attacca i P.M Milita e Sirignano, ritenendoli responsabili di pensare che tutto il male l’abbia compiuto lui. Per questo, riferendosi ai pentiti, si definisce un capro-espiatorio, “messo in mezzo dagli infami dei pentiti che hanno fatto il mio nome per avere protezioni e soldi, facendomi ottenere condanne ingiuste”. Ho seminato fiori ed ho raccolto spine, ha proseguito, riferendosi ai pentiti. È stata una udienza dai toni accesi tra P. M. ed imputato, il quale più che rispondere alle domande ha messo in scena una sorta di arringa difensiva. Toni che a tratti hanno raggiunto anche scambi polemici ed offensivi sia verso la Corte che verso il rappresentante dell’accusa, che più volte si è trovato costretto a chiedere al killer maggiore rispetto per la sua funzione. Il presidente della Corte d’Assise Maria Alaia è intervenuto più volte ma ha fatto fatica a calmare gli animi. Il tono di Setola si è fatto sempre più polemico. L’apice della tensione si è toccato quando Milita ha chiesto a Setola della sua presunta malattia agli occhi. È arrivato persino, rivolto al P.M., a dire: “Mi state facendo innervosire. Lei mi vuole fare impazzire, ma se non ci riesce il carcere, si figuri come può riuscirci lei”. E tra le domande del P. M., le piccate risposte del killer, le urla e gli avvertimenti, rivolti soprattutto contro chi si è pentito, gli infami, l’udienza è stata rinviata al prossimo 10 aprile. Non si poteva proseguire oltre, perché esigenze cinematografiche lo impedivano. Si, infatti, fuori alla porta dell’udienza erano pronte le attrezzature e la troupe di un set cinematografico. La giustizia e le vittime della belva possono aspettare qualche giorno per sentire cosa altro ha da dire.