30 ottobre 1991, Nunziante Scibelli, falciato in una guerra tra clan della camorra
La differenza tra l’auto di Nunziante Scibelli e quella dei veri obiettivi dell’agguato stava nel fatto che la seconda era blindata. Per il resto sembravano identiche: entrambe erano un’Alfetta ed entrambe erano marroni. Inoltre, elemento che risultò fatale all’operaio 26enne di Taurano, provincia di Avellino, era che tutti e due i veicoli passaro a una manciata di secondi l’uno dell’altro nello stesso posto, Lauro, una frazione del comune di Ima, nell’agro irpino.
Siamo nella serata del 30 ottobre 1991 e la zona è percorsa da una faida che si trascinerà così a lungo da far perdere di vista i motivi per cui era iniziata. È quella tra le cosche dei Cava e dei Graziano e al suo interno viene armato un commando di due uomini in moto che devono portare a termine un’esecuzione. Ma è sbagliato l’obiettivo: la raffica di proiettili che dovrebbe colpire i camorristi finisce addosso invece alla vettura su cui ci sono Nunziante insieme alla moglie Francesca, 24 anni e incinta di sette mesi.
La donna rimane ferita in molte zone del corpo, ma i medici che la curano riescono a salvare sia lei che la sua bambina, a cui sarà dato il nome di Nunzia. Ma per il giovane marito non c’è nulla da fare. Trasportato d’urgenza in un ospedale diverso rispetto a quello della moglie, si tenta un intervento chirurgico senza però che l’operaio campano sopravviva. E ci vorranno ventun anni perché si arrivi a una condanna di primo grado. Condanna che, come succede in tanti casi del genere, non sarebbe stata possibile senza le parole di un collaboratore di giustizia.