2012/ Generazione Falcone
Falcone
I BAMBINI DI ALLORA
Quando nel 1992 il giudice Giovanni Falcone fu ucciso dalla mafia insieme alla moglie e a tre agenti della scorta, i giornalisti della redazione di CTzen frequentavano asilo ed elementari ma quel 23 maggio di vent’anni fa ha cambiato e influenzato la vita di quei bambini e di tanti altri come loro, oggi giovani adulti. Il perché quella data è così importante lo racconta in questo intervento la redattrice più anziana del giornale, allora undicenne
Vent’anni. Da quando sono capace di pensare con la mia testa e capire cosa vuol dire mafia, strage mafiosa ed essere una siciliana onesta il 23 maggio non è mai stato un giorno qualsiasi, un anniversario come altri. È stato un giorno di lutto, di un dolore vivo molto più di quello che può provocare un semplice ricordo, un fatto che ho vissuto ma che ho capito solo attraverso il racconto. Un giorno di lacrime e rabbia, ma anche di coraggio, forza e vicinanza con tutti i ragazzi per cui quel giorno ha lo stesso significato. Ed ho la fortuna di conoscerne molti di giovani così.
Quando il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro sono stati fatti saltare in aria lungo l’autostrada per Palermo nei pressi dello svincolo per Capaci avevo solo 11 anni. Ero a casa della mia amica del cuore dell’epoca a festeggiare il suo compleanno. Non capii. L’unica cosa che colsi, da bambina quale ero, era che doveva essere successa una cosa molto grave. Doveva essere gravissima se si accendeva la Tv per vedere il telegiornale nel bel mezzo di una festa. Fui consapevole di quella gravità solo molti anni dopo. E da allora quella data non fu più, nella mia testa e nel mio cuore, il giorno del compleanno di un’amica. Quello è il giorno in cui ricorre l’anniversario della scomparsa di persone che sono morte per la mia terra, per il mio futuro, per me.
Quando avevo 11 anni non sapevo neanche chi fosse Giovanni Falcone. L’ho conosciuto parecchio tempo dopo, per il suo lavoro, le sue idee e le sue analisi sulla mafia. Per questo lo ricordo e gli sono grata. Grazie a lui nessuno ha potuto prendere in giro me e i giovani della mia generazione dicendoci che la mafia non esiste. Grazie a lui abbiamo sempre avuto chiaro contro cosa lottare. La sua faccia, il suo sguardo, il suo sorriso sono diventati la faccia, lo sguardo e il sorriso di uno di famiglia. Ricordo quel sorriso mentre risponde alle domande di una giornalista francese, mentre parla di mafia, di paura. Quel sorriso che mi ha sorpreso, che mi ha sempre colpito e fatto pensare che era speciale.
Chi l’ha ucciso ci ha tolto qualcosa. E quel lutto ci appartiene. Per questo non potrei mai, per esempio, sposarmi il 23 maggio. Né il 19 luglio. Ma chiamerò mio figlio con il nome di un magistrato. Come si fa con i papà, con gli uomini che ti insegnano qualcosa sulla vita che ti resta dentro per sempre e ai quali sarai grato in eterno. Falcone mi ha insegnato cosa vuol dire lottare per un futuro migliore, a non essere indifferente. Cosa vuol dire essere siciliana ed esserne orgogliosa. E a non arrendermi. Neanche quando vedo un bambino spacciare invece di giocare, o un ragazzo che pensa di trovare nella malavita un’alternativa distruggendo la serenità di genitori onesti. Neanche quando appare chiaro che il confine tra mafia e politica è sottile. Falcone mi ha insegnato che io posso fare la mia parte e che ci sono uomini giusti, che non si piegano, uomini come lui per cui io oggi continuo a restare e a lottare.
Agata Pasqualino, CTzen
Melissa
FORSE NE PARLAVANO QUELLA MATTINA
Da Mesagne a Brindisi ci sono meno di 20 km e poco più di 20 minuti di autobus. Melissa faceva questo tragitto ogni giorno da 3 anni, insieme alle sue amiche e ai suoi amici, e probabilmente, come ogni ragazza della sua età che si alza presto la mattina per andare a scuola, ogni mattina si sedeva con la stessa amica e cercavano di guadagnare 5 minuti di sonno, parlavano di scuola e interrogazioni imminenti, condividevano ansie da adolescenti, si emozionavano per i primi amori, piangevano per le prime delusioni. Chissà se qualche volta in questi tragitti mattutini avranno parlato anche della propria scuola e di chi era Francesca Morvillo, del perché l’istituto da loro frequentato si chiamasse cosi. Penso che almeno quest’anno a scuola ne avranno discusso, considerato che è il ventennale della strage di Capaci e non c’è scuola che non ricordi Francesca, Giovanni, Rocco, Vito, Antonio, anche fosse solo per dovere istituzionale.
Forse ne parlavano quella mattina, o forse – più probabile – quella mattina parlavano del sabato sera che arrivava, dell’uscita serale, di cosa avrebbero fatto nel pomeriggio, della domenica di vacanza sospirata dopo 6 giorni di scuola. Magari alle 7.44 stavano ancora discutendo di come vestirsi la sera. Di certo alle 7.45 non lo facevano più, e i loro sorrisi, la loro voglia di vivere, le loro chiacchiere saltavano insieme agli zaini, ai libri e ai quaderni, ai loro 16 anni.
Melissa adesso non c’è più, Veronica non sarà più la stessa e penso ci vorrà tempo prima che un sorriso sereno ritorni sui volti delle loro compagne e dei loro compagni di scuole, quelli feriti e quelli che si sono trovati l’inferno davanti agli occhi. Un inferno causato non da un attentato anomalo ma dalla viltà in cui mafia terrorismo e altro spesso si sono incontrati nella storia d’Italia.
In Melissa, ognuno di noi ha visto la sorella la figlia la cugina la nipote l’amica la vicina di casa. Io ho visto tutte queste e ho anche visto altro: soprattutto ho visto Lucia e Federica, Nicole e Maria Filomena, Alice e Simona, che ogni mattina si alzano un po’ prima di altre loro compagne, fanno un tragitto simile a Mesagne-Brindisi ma in Sicilia, poco più di 10 km e poco meno di 20 minuti di autobus, frequentano il terzo anno delle scuole superiori in un paese diverso da quello in cui abitano e hanno tra i 16 e i 17 anni. Come Melissa. E poi ho visto Clarissa Elisa Giusi Miriam Paola e Simona che tra meno di un mese sosterranno l’esame di terza media e da settembre faranno anche loro ogni mattina un tragitto simile a quello di Melissa e lo stesso tragitto di tante loro amiche, sullo stesso autobus o su autobus diversi, per andare a scuola, dove bisognerebbe soprattutto imparare a diventare cittadine e cittadini consapevoli. Non vittime innocenti della follia umana. Ciao Melissa, ti hanno salutato le tue compagne e i tuoi compagni delle reti e degli unioni degli studenti: qualsiasi cosa farete non ci fermerete, hanno scritto sabato sera e il 26 giugno a Brindisi, in una manifestazione nazionale studentesca urleranno che non hanno paura, e che vogliono difendere il loro futuro. Anche per te.
«Muor giovane colui che gli dei amano», così Menandro ha lasciato scritto in un frammento: sarà un verso sublime, ma io oggi non ce la faccio a crederci.
Anna Bucca, Arci Sicilia