1972 e 1977: 11 marzo di anni diversi, due giorni di sangue a Milano e Bologna
Milano, 11 marzo 1972, Giuseppe Tavecchio
La chiamavano maggioranza silenziosa ed era un movimento con diverse anime, alcune cattoliche ed ex democristiane con simpatie monarchiche, altre di destra. Il suo scopo era quello di smuovere la borghesia, quella media e piccola, e indurla a non cedere all’ondata rossa che da qualche anno agitava le piazze. Per questo era stata convocata una manifestazione per l’11 marzo 1972.
L’autorizzazione doveva essere stata concessa di malavoglia e comunque chi voleva scendere per strada doveva limitarsi a fare capannello solo in piazza Castello, a Milano. La scenografia di quel giorno, un sabato, era la solita: dispiegamento della celere, manganelli in vista, automezzi dotati di sistemi di protezione per resistere agli assalti.
In mezzo a questo allestimento, dopo una serie di scontri che erano arrivati a lambire la via dove c’era la sede del Corriere della Sera, si muovevano anche persone che, però, non c’entravano nulla. Era il caso di Giuseppe Ravecchio, 60 anni, un pensionato che era andato a sbrigare qualche commissione e che poco dopo le 17 passava da quella zona reggento una borsa.
E addosso a lui arrivò un lacrimogeno sparato dalle forze dell’ordine facendolo crollare a terra e riducendolo in fin di vita a causa delle lesioni al volto. L’uomo avrebbe resistito tre giorni prima di morire nel suo letto d’ospedale e per la sua morte fu celebrato un processo. A giudizio finirono la guardia che sparò il colpo e il suo superiore, ma non ci saranno condanne per nessuno dei suoi, assolti in via definitiva.
Bologna, 11 marzo 1977, Francesco Lorusso
Non fu un caso che proprio nel capoluogo emiliano, alla vigilia della primavera del 1977, si fosse usato un pugno durissimo. “Bologna era uno dei centri più importanti dell’Autonomia operaia che, per mia scelta, proprio a Bologna fu sconfitta”. Queste furono le parole che Francesco Cossiga, nel 2005, pronunciò nel corso di un’intervista concessa a Quotidiano Nazionale aggiungendo che i fatti di quell’11 marzo e la morte dello studente di medicina Francesco Lorusso si consumarono volutamente per le strette vie della zona universitaria.
E aggiunge l’ex presidente della Repubblica: “Scaraventai contro i manifestanti una massa di forze impressionante. Non l’ho mai detto prima, ma predisposi anche l’intervento del reggimento dei paracadutisti del Tuscania, cui diedi l’ordine di indossare il basco rosso cremisi […]. Ricordo bene che in quel periodo il servizio d’ordine del sindacato collaborava strettamente con la questura e agiva secondo uno schema ben preciso […]: avevano il compito di isolare gli autonomi dai cortei, di picchiarli a sangue per poi farli arrestare dalle forze dell’ordine”.
A morire, quel giorno, fu Lorusso, militante di Lotta Continua. Aveva 26 anni quando venne ucciso da un colpo d’arma da fuoco e quel fatto segnò il culmine della repressione contro l’Autonomia e i movimenti extraparlamentari a Bologna. Per l’omicidio Lorusso venne accusato e arrestato un carabiniere, ma fu poi prosciolto perché non emersero sufficienti elementi per proseguire con l’incriminazione. In merito ai funerali, invece, venne vietato che si svolgessero in centro, per motivi di ordine pubblico, e si fu costretti a svolgerli fuori porta, dalle parti dello stadio comunale.