18 gennaio 1951, Domenico Lo Greco morì il no alla guerra e alla deferenza agli Usa
Non bastava manifestare contro i palazzi delle istituzioni che, a fronte di urgenze ben più stringenti per i cittadini, si scaldavano dai venti della guerra fredda deliberando un incremento della spesa bellica di 150 miliardi di lire. Era l’inizio degli anni Cinquanta, il secondo conflitto mondiale si era concluso da una manciata d’anni e la cappa di Yalta e delle successive conferenze alleate pesava sullo scacchiere europeo. L’Italia stava nella sfera d’influenza americava e vi si inchinava.
Si inchinava proprio come fece uno dei suoi ministri. E non un ministro a caso. Era Randolfo Pacciardi, colui che occupò la massima carica a Palazzo Baracchini dal 1948 al 1953 e che, di fronte Dwight D. Eisenhower, futuro presidente degli Stati Uniti, il trentaquattresimo, fece quel gesto di rispetto ma anche di sottomissione al generale diventato una leggenda, un eroe di guerra. Per le strade del Paese, tuttavia, la situazione era diversa e il clima più incandescente.
Lo dimostrarono i fatti che il 18 gennaio 1951 si verificarono a Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo. Lì chi protestava si trovò però davanti i carabinieri armati di tutto punto per contenere e reprimere le proteste di piazza. Fu una battaglia tra cittadini e forze dell’ordine, una specie di intifada ante litteram, con lacrimogeni che spediti verso la piazza venivano restituiti al mittente senza che si venisse a capo degli scontri.
Così, per risolvere il problema e sottomettere la folla, si iniziò a sparare. Questa volta erano proiettili e uno di questi raggiunse un uomo, un bracciante che lavorava da mattina a sera per mantenere i quattro figli. Si chiamava Domenico Lo Greco che non venne colpito una sola, ma molteplici volte, ferito a morte al petto. Chi gli era a fianco tentò di salvarlo sollevandolo e puntando dritto all’ospedale, ma Domenico non sopravvisse fino alla serata di quel giorno.