“Scusi, lei è favorevole o contrario?” Amici e nemici della libertà di stampa
CONTRARI/
“REGGIO EMILIA DIVENTA UGUALE AD ALCAMO”
Il segretario dell’Ordine dei giornalisti emiliano giustificò tecnicamente la forzata chiusura del sito di Carlo Ruta
Roberto Olivieri [*], “Giornalismo d’inchiesta” – Un dibattito alla festa dell’Unità, 14 giugno 2011
Ringrazio il collega Finocchiaro per il celere invio della documentazione, la quale non fa che confermare esattamente ciò che avevo supposto l’altra sera. Vale a dire che la condanna allo storico Carlo Ruta è stata inflitta per violazione dell’art. 5 e collegato 16 della legge n. 47 del febbraio 1948. Nella circostanza, avevo anche aggiunto che un’eventuale condanna per mancata registrazione avrebbe comportato la sola pena pecuniaria, in quanto si tratta di un illecito depenalizzato da oltre vent’anni.
Leggendo la sentenza apprendo infatti che si tratta di una ammenda di 150 euro, poco più di un divieto di sosta. Tuttavia, mi si può facilmente obiettare che si viola un principio di libertà, perché, come afferma Alessi, “nel clima pesante che l’Italia vive la sentenza può determinare la fine di una libertà civile”. Vediamo allora se è vero.
La legge di cui sopra regola l’attività di stampa, e non la libertà di stampa, che, come sapete quanto me, è massimamente garantita dall’art. 21 della Costituzione (a Gaetano Alessi dovrebbero fischiare le orecchie). Una libertà, come tutte, esercitata nei limiti di legge. Ci avviciniamo al punto: noterete che la norma di cui sopra è del febbraio del ’48, segue cioè di una quarantina di giorni la promulgazione della Costituzione. Infatti, non viene approvata dal Parlamento (che nasce dalle elezioni del 18 aprile dello stesso anno), ma dall’Assemblea Costituente, assieme ad altre poche leggi urgenti per la vita della neonata libertà. Proprio la speciale qualità della “mamma” ne ha garantito, al pari della Costituzione, la sopravvivenza dei suoi principi fondamentali nel tempo. Naturalmente, non poteva garantirne l’attualità in presenza dell’evoluzione tecnologica per cui non si può imputare ai Padri costituenti l’ignoranza della TV, del web o dei pixel.
Queste e altre tematiche successive sono state progressivamente regolate non da modifiche e aggiornamenti della legge attuati per via parlamentare (sarebbero così diventate riforme, parola proibita), ma con sentenze della Cassazione e della Corte Costituzionale. Queste, come è noto, non modificano ma interpretano, così come del resto fa tutta la Magistratura giudicante.
Tutta questa storiella calata nelle -voglio essere magnanimo- problematiche dell’altra sera comporta che le testate (così identificate quando ricorrano almeno due caratteristiche: il nome del contenitore –la testata, appunto- e una qualsiasi periodicità) debbano essere non autorizzate, come ancora qualcuno dice e scrive, ma registrate presso la Cancelleria del Tribunale.
Personalmente, forse da garantista fuori moda, trovo questa norma sacrosanta, perché non limita minimamente la libertà di stampa e consente invece di individuare un eventuale responsabile (anzi due, anche il proprietario), ad esempio in presenza di diffamazione.
Nella maggior parte della giurisprudenza degli ultimi anni i blog, quando proprio di blog si tratti, non vengono assimilati alle testate. Ne è conferma proprio la sentenza “liberticida” di cui si parla che riguarda proprio “Accadeinsicilia”. Testata, appunto.
Volendo essere attenti (stavo quasi per dire onesti), è difficile trovare in questo caso qualche responsabilità a carico dell’Ordine dei giornalisti, siciliano, nazionale o veneto che sia. Benché si tratti di istituzioni che operano in base a una legge del 1963, più che mai bisognosa di riforma, è difficile sostenere che possano affossare la libertà di stampa: chiunque può scrivere su un giornale (di carta o telematico) senza essere giornalista, perché è il giornale che risponde di eventuali violazioni deontologiche o di legge. Addirittura, in casi particolari, non si richiede neppure la direzione della testata da parte di un giornalista: è il caso del cosiddetto elenco speciale, grazie al quale qualsiasi cittadino che goda dei diritti politici può dirigere e registrare in Tribunale una testata con carattere tecnico, professionale o scientifico. Teoricamente, avrebbe potuto essere il caso della testata siciliana in questione, diretta appunto da uno storico. Ma non pare che i contenuti fossero di storia.
Siamo allora di fronte a difficoltà create ad arte dall’Ordine per soffocare voci scomode? E’vero che in certi casi e in determinati luoghi a forte presenza mafiosa questo è possibile che si verifichi, ben vengano allora specifiche e circostanziate denunce.
Ma quando si generalizza, quando Reggio Emilia diventa uguale ad Alcamo e l’Ordine (quale?) dei giornalisti è esso stesso raccontato a ignari cittadini come potere forte al servizio dei poteri forti mafiosi siamo totalmente fuori dalla realtà. Così facendo, anche volendo accreditare buona fede, oggettivamente non ci si pone al servizio della verità.
L’altra sera il nemico, quello perverso che ci fa galleggiare ogni anno più o meno al 50° posto della classifica mondiale sulla libertà di stampa, in compagnia della Corea (fortunatamente del sud, per ora); non è rappresentato da una pessima legge sull’editoria, detta anche Gasparri, che legittima quel macigno di conflitto di interessi mai risolto. Non è la mancanza in Italia di editori puri, impegnati a fare legittimamente reddito vendendo notizie, anziché assecondare interessi paralleli non sempre confessabili; non è il precariato sempre più dilagante, divenuto ormai strutturale nelle redazioni. E via elencando. No, è l’Ordine, magari affiancato da una Magistratura repressiva, come nel caso Ruta.
Confesso di aver avuto la sensazione (gentile eufemismo) di trovarmi l’atra sera più al circolo Leoncavallo degli anni ruggenti, piuttosto che a una festa dell’Unità al Savena. Forse anche per qualche responsabilità di una conduzione non adeguata degli interventi dei due oratori, sempre all’unisono, senza un minimo di contraddittorio, probabilmente per la lontananza del moderatore dai temi proposti.
La ciliegina sulla torta l’ha messa alla fine Gaetano Alessi, quando, rilanciando con autocompiacimento degno di miglior causa, ha affermato di provare vergogna se definito giornalista.
Presumo con grande soddisfazione di De Muro, Siani, e di tutti quei Giornalisti che non si vergognavano di esserlo e che per amore del loro lavoro ci hanno lasciato la pelle. Non una liberticida ammenda.
Non saprei come in altro modo chiudere se non chiedendovi gentilmente, qualora ne siate in grado, di girare per correttezza questo testo al moderatore Maurizio Gaigher. Diversamente, nei prossimi giorni cercherò io stesso di trovare il suo indirizzo mail.
[*] Roberto Olivieri, giornalista professionista, direttore dal 1980 dei Servizi di Comunicazione della Provincia di Bologna. È segretario del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna presso cui svolge attività di docenza e formazione nel campo del giornalismo, dell’informazione e dell’editoria. Attività reiterata anche in numerosi istituti di alta formazione tra cui la Scuola superiore della pubblica amministrazione e della presidenza del Consiglio dei Ministri e la Scuola di giornalismo “Ilaria Alpi” dell’Università di Bologna.