Cronaca di un “suicidio” annunciato
Otto anni dopo, non sono affatto chiariti i dubbi sulla morte del giovane urologo barcel- lonese. Ecco perché
Quel che colpisce è la tempistica. Una tempistica che mal si concilia con un silenzio fin troppo imbarazzante. Il silenzio di una Procura che per otto anni non ha sentito il dovere di fornire un briciolo di spiegazione sulla strana morte (2004) di Attilio Manca, medico urologo di Barcellona Pozzo di Gotto in servizio all’ospedale Belcolle di Viterbo, che nel 2003 a Marsiglia si sospetta abbia fatto parte dell’equipe che ha operato segretamente di tumore alla prostata il boss Bernardo Provenzano, e poi lo abbia assistito in Italia senza conoscere la sua vera identità.
L’unica spiegazione che i magistrati di Viterbo hanno fornito in questi otto anni è che il giovane medico è morto per overdose d’eroina – mediante “inoculazione volontaria” – mischiata ad una grossa quantità di alcol e di tranquillanti.
Peccato che Attilio Manca, la droga, se la sarebbe iniettata nel braccio sbagliato, quello sinistro, dato che era un mancino puro, ma dopo quasi un decennio, anche il “mancinismo puro” della vittima è stato messo in discussione.
Attilio Manca è stato trovato cadavere sul letto del suo appartamento di Viterbo la mattina del 12 febbraio 2004 con due buchi al braccio sinistro e – secondo la famiglia – con il setto nasale deviato, il volto tumefatto, e una serie di ecchimosi in tutto il corpo.
A qualche metro di distanza dal cadavere sono state trovate due siringhe con tappo salva ago inserito, un pezzo del parquet divelto, un peso da ginnastica rotto, la camicia e la cravatta della vittima poggiate su una sedia.
Non sono stati trovati i pantaloni, i boxer, i calzini, le scarpe e la giacca di Attilio, né sono stati trovati lacci emostatici e cucchiai sciogli eroina. Un particolare, quest’ultimo, sul quale il procuratore e il suo sostituto hanno dato l’impressione di annaspare. Sul tavolo del soggiorno sono stati rinvenuti degli attrezzi chirurgici che, secondo gli stessi familiari e gli amici più stretti di Attilio, non erano mai stati visti nell’appartamento.
L’autopsia, condotta dalla dottoressa Danila Ranaletta, moglie del primario di Attilio, ha escluso ecchimosi sul corpo, il volto tumefatto e le labbra gonfie. Al contrario del medico del 118, intervenuto dopo la scoperta del cadavere, che, secondo la famiglia Manca, avrebbe riscontrato questi particolari. Due tesi contrastanti che dovrebbero esere chiarite dalle foto del viso (mai pubbicate, neanche in rete ) che secondo i Manca descrivono chiaramente la situazione
Dai rilievi effettuati dalla Scientifica, nell’alloggio sono state rilevate cinque impronte, una del cugino dell’urologo, Ugo Manca, e altre quattro non appartenenti a persone che la vittima era solita frequentare. Dunque, in quell’appartamento, delle persone estranee all’ambiente del medico, nelle ultime ore avrebbero lasciato le loro tracce. Ma nessuno, in tutto questo tempo, ha saputo dire a chi appartengano.
Sarà pure una coincidenza, ma questa estemporanea conferenza stampa tenuta dal capo della Procura Alberto Pazienti e dal sostituto procuratore Renzo Petroselli, titolare dell’indagine sulla morte di Attilio Manca, arriva dopo quindici giorni “di fuoco” in cui del Caso Manca si è parlato in tre trasmissioni di grande impatto mediatico: “Servizio pubblico” di Michele Santoro, “Chi l’ha visto” di Federica Sciarelli, e “Rainews24”, la quale ha trasmesso una bella inchiesta di Giuseppe Lo Bianco che, come i programmi di Santoro e della Sciarelli, si è soffermata sulle eventuali connessioni tra la morte dell’urologo e l’intervento alla prostata di Provenzano, mettendo insieme fatti, circostanze e notizie, senza la pretesa di fornire risposte certe, ma con il fine di accendere i riflettori su uno dei misteri più tormentati della storia recente.
Da queste trasmissioni sono emerse un paio di cose semplicissime: che Attilio Manca, malgrado i suoi 34 anni, nel 2003 era un luminare della chirurgia alla prostata, essendosi specializzato a Parigi, patria del sistema laparoscopico, una tecnica rivoluzionaria e meno invasiva del tradizionale intervento chirurgico, arrivata in Italia con alcuni anni di ritardo. Che Francesco Pastoia, braccio destro di Bernardo Provenzano, poco prima di impiccarsi nel carcere di Modena, disse che il “boss dei boss”, sotto il falso nome di Gaspare Troia, era stato operato e assistito da un medico siciliano (e all’epoca l’unico medico siciliano in grado di operare col sistema laparoscopico pare che fosse proprio Manca). Che la cittadina di Attilio, Barcellona Pozzo di Gotto, non è una cittadina come tante, ma il centro nevralgico di una strategia dell’eversione che nel ’92 portò il boss Giuseppe Gullotti (mandante dell’assassinio del giornalista Beppe Alfano) a recapitare a Giovanni Brusca il telecomando della strage di Capaci, e nello stesso periodo portò Bernardo Provenzano e Nitto Santapaola a trascorrere la loro latitanza proprio lì, ben protetti da una fitta rete di complicità, che il dottor Manca (se davvero ha operato Provenzano) potrebbe avere scoperto.
Ebbene, in concomitanza con questo “fuoco” mediatico, la procura di Viterbo ha finalmente deciso di battere un colpo, o meglio, di sferrare il colpo finale all’inchiesta. Per dire cosa? Che Attilio Manca era un drogato e che i quattro barcellonesi indagati da alcuni mesi non c’entrano niente con questa storia, malgrado l’impronta palmare lasciata da Ugo Manca (uno degli indagati), condannato in primo grado nel processo “Mare nostrum” per traffico di stupefacenti, ma assolto in appello, e malgrado lo stesso Ugo Manca, subito dopo la morte del cugino, dalla Sicilia si sia precipitato a Viterbo per chiedere al titolare dell’indagine – a nome dei genitori e del fratello di Attilio, che hanno categoricamente smentito – il dissequestro dell’appartamento. Perché? Perché questa fretta di entrare nell’appartamento? Per fare cosa? Anche su quest’ultima circostanza,Pazienti e Petroselli hanno dato la netta sensazione di annaspare.