Alcamo: epidemia di bombe
Nella geografia criminale siciliana la zona di Alcamo è strategica
E’ una zona cuscinetto, un’area che sta a metà tra i mandamenti mafiosi storici di Palermo e Trapani, che ha avuto sempre regole sue, godendo di uno stato di “terzietà” rispetto agli affari mafiosi. Non è un caso che tra Castellammare ed Alcamo abbiano trovato riparo fior di latitanti, da Brusca a Messina Denaro e che in tempi non lontani ci siano stati gli episodi più violenti delle guerre di mafia che hanno caratterizzato la storia di Cosa nostra.
Il 2013 qui è cominciato con un’escalation di attentati incendiari a case di imprenditori, auto, abitazioni estive. Con il corredo di soliti avvertimenti: bottiglie incendiarie davanti casa, mazzi di fiori, etc. “E’ come se d’improvviso fosse mutato qualcosa – dicono gli investigatori -, come se ci fosse una nuova banda in azione, che vuole farsi conoscere, imporre il suo pizzo”.
Sono soprattutto le aziende edili ad essere state colpite. Il 2 febbraio hanno incendiato un escavatore di una impresa di movimento terra. Pochi giorni prima un altro attentato incendiario, sempre a dei mezzi di un’impresa edile. E poi ancora fiamme ad alcune auto, gomme tagliate, danni alle carrozzerie ad altri imprenditori e professionisti. Tutto in serie. Con un’escalation incredibile nelle ultime settimane.
Il clima ad Alcamo e Castellammare è teso. Dopo l’ennesima intimidazione, un centinaio tra commercianti ed imprenditori hanno sfilato in corteo ad Alcamo per dire no al racket.
Il loro striscione era chiarissimo: “Alcamo unita contro il racket”. Anche il Sindaco di Castellammare, Marzio Bresciani, si è fatto sentire: “Questa comunità non è più disposta a tollerare i continui atti di qualcuno che persegue fini criminali – ha detto – . E’ inconcepibile ed inaccettabile che si voglia portare questa città indietro nel tempo”.
Già, indietro nel tempo. In questi momenti a molti viene in mente la storia di Gaspare Stellino. Era titolare di una torrefazione nel centro di Alcamo. Taglieggiato, fino all’osso.
Il 12 settembre del 1997 Stellino si impicca nella casa di campagna. Lo stesso giorno avrebbe dovuto testimoniare contro i boss di Alcamo, Melodia, che gestivano l’intenso giro di estorsioni a commercianti e imprenditori. Gli stessi che poi non alzarono un fiato di indignazione dopo il suicidio del collega.
“Il pensiero di dover testimoniare contro i presunti boss del racket ad Alcamo lo atterriva, lo rendeva ansioso e teso, anche se cercava di non far trasparire nulla per non fare preoccupare la famiglia”, raccontò il figlio Isidoro. Non ebbe il coraggio di raccontare tutto, si sentiva solo, Stellino. E poco dopo, Alcamo tornò nel suo silenzio dei taglieggiati. E nel frastuono delle sirene delle varie operazioni antimafia, che via via decapitavano i clan.
L’ultima operazione antimafia nella zona risale allo scorso giugno: “Crimiso”. Furono arrestate 12 persone accusate di associazione mafiosa, estorsione aggravata, incendio aggravato, violazione di domicilio e violazione delle misure di sorveglianza speciale. In cella sono finiti anche tre imprenditori.
L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Teresa Principato, e dai pm Paolo Guido, Marzia Sabella, Carlo Marzella e Piero Padova, ruotava attorno alle cosche del mandamento mafioso di Alcamo e dei clan di Castellammare del Golfo e Calatafimi. Dall’inchiesta, che ha portato alla scoperta dei vertici delle cosche, è emersa una spaccatura all’interno della famiglia mafiosa di Castellammare: un gruppo di uomini d’onore che faceva riferimento a Diego Ruggeri, pregiudicato e sorvegliato speciale, avrebbe preteso il pizzo senza chiedere l’autorizzazione al capomafia Michele Sottile che, per “anzianità”, sarebbe stato il capo naturale del clan.
Per evitare che scoppiasse una guerra di mafia e dirimere le controversie da altri due uomini d’onore coinvolti nel blitz, Antonino Bonura e Rosario Leo, venne convocata una riunione tra i vertici delle famiglie di Alcamo, Castellammare e Calatafimi.
Diverse le estorsioni emerse dall’inchiesta: i clan riscuotevano il pizzo da ristoranti, bar, imprese di costruzioni facendo precedere le richieste estorsive da danneggiamenti e attentati incendiari. Oltre a chiedere somme di denaro alle vittime, i boss imponevano assunzioni di loro protetti e costringevano professionisti – è il caso di un dentista – a rinunciare al pagamento delle parcelle per cure fatte a un complice del capomafia Diego Ruggeri. Gli inquirenti hanno anche scoperto un tentativo della famiglia mafiosa di Alcamo di ottenere il monopolio del commercio di calcestruzzo imponendo alle imprese di acquistarlo da ditte vicine ai clan.
È un laboratorio il territorio di Alcamo. Le forze dell’ordine, dal canto loro, fanno per il momento quello che possono: il controllo del territorio. Con grandi sforzi, data la scarsità di mezzi e uomini, i Carabinieri hanno passato al setaccio abitazioni di pregiudicati e sorvegliati speciali, messo posti di blocco, aumentato le ronde nel vastissimo territorio di mezzo tra le province di Palermo e Trapani. Per scongiurare quel ritorno al passato.