A Verona una fusione con scasso
Viaggio nella città guidata da Flavio Tosi, il sindaco-sceriffo che usa come un bancomat le società controllate dal Comune. Ora i nodi iniziano a giungere al pettine e sulle società piovono sanzioni.
Forse passerà alla storia come la “Verona da bere”, visto il cocktail di spregiudicatezza, denaro e consensi che caratterizza il sistema di governo del leghista Flavio Tosi, primo cittadino dal 2007. Ma non durerà ancora a lungo perché – complice una crisi economica che si aggrava sempre più – i nodi iniziano a giungere al pettine.
Intendiamoci, Verona è una città ricca e da sempre di soldi ne circolano parecchi grazie alla presenza di un polo finanziario di importanza nazionale (la Fondazione Cariverona, tra gli azionisti di controllo di Unicredit, il Banco Popolare, che è uno dei maggiori gruppi italiani, e la Cattolica assicurazioni), per non parlare dell’industria, del turismo e del commercio. Una città ricca che però negli ultimi anni ha iniziato a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Mentre in tutta Italia, città grandi e piccole si trovano a fare i conti con i tagli dei trasferimenti statali che, secondo il presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino, sono diminuiti del 20% nel solo biennio 2010-2011, a Verona si è continuato a investire e spendere come se nulla fosse.
Il “miracolo” veronese
Un “miracolo” che, ridotto alla sua essenza, è presto spiegato: l’amministrazione anziché fare scelte impopolari tipo imporre nuovi balzelli o accodarsi alla moda imperante delle privatizzazioni ha deciso di mettere le mani in tasca alle società per azioni a controllo comunale, utilizzandole come dei bancomat da cui prelevare utili e riserve per finanziarie servizi, opere pubbliche e per mantenere le dispendiose promesse della campagna elettorale.
In questo modo il sindaco e la sua giunta hanno potuto evitare di stringere troppo la cinghia e al contempo – in un’epoca in cui il capitale pubblico viene spesso svenduto ai privati – hanno anche potuto accreditare come innovativa l’idea di mantenere il controllo del 100% delle ex municipalizzate per utilizzare i loro utili come “dividendo sociale”.
Un’idea che in realtà non è né innovativa né raffinata, quanto piuttosto pericolosa se portata alle estreme conseguenze visto che costi e debiti della politica vengono scaricati su società che forniscono servizi essenziali alla città (energia, illuminazione, raccolta rifiuti etc.). Società che, nel caso di Verona, si identificano a tal punto negli indirizzi politici dettati dal sindaco da rivendicare – come se fosse la cosa più normale del mondo per delle società per azioni – che la loro “filosofia economico-finanziaria” prevede di girare gli utili al Comune perché a sua volta li reinvesta in opere di pubblica utilità.
Del resto identificarsi con il sindaco è facile visto che i consigli di amministrazione sono espressione diretta del Comune di Verona e ai vertici delle società sono stati nominati dei fedelissimi di Tosi, come ad esempio il ragioner Paolo Paternoster che è presidente di Agsm Verona, il gruppo veronese dell’energia, ed è anche segretario provinciale della Lega Nord.
Consigli d’amministrazione legati a doppio o triplo filo all’azionista di controllo non favoriscono una buona e corretta gestione delle società e Verona non fa eccezione. Agsm, per restare alla principale delle società controllate al 100% dal Comune, si trova attualmente sottoposta a due pesanti procedure sanzionatorie (una dell’Antitrust e l’altra dell’Autorità per l’Energia), mentre a Riparbella, in provincia di Pisa, la magistratura sta indagando sugli abusi commessi nella realizzazione di un mega parco eolico.
L’azzardo eolico
Già, l’eolico. Alle speculazioni sull’Appennino tosco-emiliano partecipa in grande stile anche Agsm Verona, che ha già in funzione un impianto a Casoni di Romagna, mentre è stata respinta con perdite al Monte dei Cucchi e, più di recente, sul versante toscano, a La Faggeta. Il business è quello dei certificati verdi che rendono conveniente costruire impianti anche dove di vento ce n’è poco.
Questo sistema che ha arricchito speculatori, mafie e intrallazzoni vari sta per volgere al termine, ma prima che i rubinetti vengano chiusi Agsm si è precipitata a rilevare due piccole società in difficoltà finanziarie ma con impianti già autorizzati. Obiettivo: realizzare i due parchi eolici entro la fine dell’anno in modo da beneficiare ancora del vecchio, generosissimo, sistema dei certificati verdi.
Più che un investimento, un azzardo: sul piatto sono stati messi oltre 50 milioni di euro (29 milioni a Riparbella e 23,5 a Monte Carpinaccio nel Comune di Fiorenzuola) ed è iniziata la corsa contro il tempo. Un errore, un ritardo, un intoppo qualunque potrebbe avere conseguenze gravissime perché se gli impianti non saranno pronti in tempo, l’investimento non ha alcuna possibilità di ripagarsi e rappresenterebbe anzi una perdita grave per il gruppo veronese che, come vedremo, è piuttosto piccolo e già molto indebitato.
E’ forse per colpa della fretta che a Riparbella Agsm ha costruito la sottostazione elettrica dell’impianto (un’edificio grande più o meno quanto un campo di calcio) in un luogo diverso da quello autorizzato. La magistratura sta indagando e si spera faccia chiarezza anche sul misterioso silenzio del Comune di Riparbella che, nonostante le denunce dei cittadini, nulla ha fatto di fronte a questo abuso. Intanto il governo ha concesso una proroga agli speculatori eolici e così Agsm può tirare il fiato avendo qualche mese in più a disposizione per i lavori, ma occorre rilevare come il gruppo veronese (quello stesso che per “filosofia economico-finanziaria” gira gli utili al Comune affinché li reinvesta in opere di pubblica utilità) si sia lanciato con spregiudicatezza e pressoché senza rete in questa speculazione, contro la quale si battono i cittadini di Riparbella.
E a questo punto sarà anche interessante capire se quell’impianto eolico, così come gli altri in costruzione o già costruiti, è legittimo visto che per legge chi svolge un’attività in regime di monopolio (nel caso di Agsm, l’illuminazione pubblica a Verona), non può operare fuori dal proprio territorio a meno di aver effettuato una separazione societaria tra l’attività in monopolio e il resto del gruppo.
Agsm questa separazione non solo non l’aveva fatta (e per questo era stata sanzionata una prima volta nel 2009), ma ha continuato a operare come nulla fosse e per questo a fine giugno, sempre su denuncia dei comitati locali contro l’eolico industriale, l’Antitrust ha avviato un nuovo, più pesante procedimento nei confronti del gruppo veronese che potrebbe avere conseguenze rilevanti sia in termini di richieste danni da parte di società concorrenti sia per le azioni che potrebbero ora intraprendere gli stessi Comitati.
Fiamme gialle
Da un’ispezione della Guardia di Finanza effettuata nel maggio 2011 per conto dell’Autorità per l’Energia sono emerse gravissime violazioni degli obblighi di separazione funzionale e contabile tra le società del gruppo. In particolare a noi qui interessano i rilievi contabili, quelli da cui emerge l’altra faccia della “filosofia economico-finanziaria” di Agsm. L’Autorità per l’Energia rileva che le società del gruppo si finanziano vicendevolmente a condizioni non di mercato e senza contratti scritti che motivino e regolino il finanziamento, stabilendone ad esempio condizioni economiche, durata ed eventuali piani di rientro.
Il procedimento sanzionatorio si chiuderà tra breve e, a prescindere dagli esiti, ha aperto una finestra sulla gestione economico-finanziaria di questo gruppo, sull’assenza di controlli interni ed esterni (la società di revisione, Pricewaterhousecoopers, che ha certificato i bilanci non ha scritto una riga in merito ai finanziamenti infragruppo e neanche sulle contestazioni dell’Autorità per l’Energia) che fa presumere una grande confusione contabile.
Si tratta di un gruppo tutto sommato piccolo e già molto indebitato. In effetti Agsm Verona spa ha conseguito ricavi per poco più di 155 milioni di euro e ha debiti finanziari per circa 290 milioni di euro (quasi due volte il fatturato), di cui quasi il 10% – 28,6 milioni – nei confronti delle società controllate, quelli per intenderci su cui ha acceso un riflettore l’Autorità per l’Energia. L’indebitamento e la spesa per interessi sono cresciuti molto nell’ultimo anno e tendenzialmente cresceranno ancora visto che nel 2012 la società veronese ha annunciato un piano di investimenti faraonico (82 milioni di euro nel solo 2012, 260 milioni da qui al 2016), mentre tutti gli anni il Comune incamera sotto forma di dividendo l’intero utile realizzato dalla società.
Società bancomat
Per la verità non solo l’utile: da quando Flavio Tosi è diventato sindaco, il Comune si è fatto distribuire anche un bel po’ di riserve. Qualche cifra giusto per dare un’idea: nel 2008 il Comune ha incassato 11,8 milioni di euro da quella che era la riserva straordinaria di Agsm e nel 2009 altri 6 milioni, azzerando la riserva straordinaria e quella statutaria. Spiccioli al confronto di ciò che accadrà quest’anno.
I nodi iniziano a venire al pettine. Quelli politici, innanzitutto, con una Verona che rischia di fare il vaso di coccio tra i giganti dell’energia: a Ovest A2A, nata dalla fusione delle ex municipalizzate di Milano e Brescia, a Est e a Sud dal colosso che raggruppa Trieste, Padova e l’Emilia Romagna (Aps-Acegas-Hera). Agsm è piccola e va rafforzata. Così Tosi ha deciso di seguire l’esempio di Milano integrando l’azienda energetica con quella dei rifiuti, ma tenendo separati i consigli d’amministrazione in modo da poter garantire prebende e poltrone ai fedelissimi, agli alleati e alla bisogna. Un’operazione che viene giustificata industrialmente con l’idea di creare sinergie tra le due società nel ciclo di raccolta, gestione e smaltimento rifiuti che verranno poi trasformati in energia nel controverso inceneritore di Ca’ Del Bue (un’altra opera di pubblica utilità, secondo la giunta e i vertici di Agsm).
Però c’è anche il nodo economico-finanziario: i tagli statali sono consistenti, il bilancio del Comune fa acqua, ma Tosi non vuol sentir parlare di tagli. Quello che ha deciso di fare si fa. Punto. E così viene annunciata un’operazione di integrazione tra Agsm (la società dell’energia) e Amia (quella dei rifiuti) concepita in termini di compravendita e cioè Agsm avrebbe acquisito dal suo socio di controllo (il Comune) il 100% di Amia (anch’essa controllata dal Comune) per una cifra compresa tra i 21 e i 28 milioni di euro. Dunque o accendendo nuovi debiti o facendo leva sulle sempre più magre riserve, Agsm avrebbe acquisito Amia versando il corrispettivo direttamente nelle casse comunali. Tutto previsto, tutto già deciso e annunciato pubblicamente. Un’operazione che però a molti ha fatto storcere il naso e contro la quale l’opposizione in consiglio comunale, in particolare il Pd, ha iniziato a muoversi raccogliendo consensi.
Integrazione a ostacoli
E intanto altri nodi arrivavano al pettine: il procedimento sanzionatorio dell’Autorità per l’Energia avviato lo scorso novembre e del quale – a parte gli interessati – nessuno a Verona sapeva nulla. E poi la nuova grana Antitrust, senza considerare la sonnolenta procura del capoluogo scaligero che nel frattempo, potrebbe aver letto qualcosa e aperto un fascicolo d’indagine, ma anche no. Morale, l’operazione annunciata cambia, a sorpresa, pochi giorni fa. La ragione tecnica e quella politica coincidono: ad andare avanti così si rischiano solo grane e ricorsi.
Così si fa in un altro modo, meno grezzo. Agsm aumenta il capitale di 21 milioni, il Comune – socio unico – non ci mette un euro, ma conferisce Amia che è stata valutata appunto tra i 21 e i 28 milioni. Non è una compravendita, non c’è passaggio di denaro, e così non possono essere messe seriamente in discussione le ragioni industriali dell’operazione: rafforzare Agsm conferendole Amia per sviluppare sinergie e provare a entrare nel gioco della grande multiutility del Nord che in un futuro non lontano potrebbe nascere dalla fusione del colosso del Nordovest (A2A, Milano-Brescia) con quello del Nord-Sudest (Padova-Trieste-Emilia). Perfetto, se non fosse che con una delibera dei primi di luglio il Comune di Verona ha deciso di incamerare tutto l’utile disponibile di Agsm (7,5 milioni) e di Amia (585mila euro) e, in sede di presentazione del bilancio preventivo ha già stabilito di far distribuire ad Agsm parte delle riserve fino a raggiungere un importo di circa 40 milioni di euro.
Insomma, una fusione con “scasso” perché è evidente che Agsm e Amia non potranno perseguire i rispettivi piani di investimento se non accumulando ulteriori debiti.
Ma non basta: in realtà lo stesso piano industriale fa acqua da tutte le parti perché anziché integrare Agsm in Amia vengono mantenute due strutture societarie separate e addio quindi alle pur minime sinergie sul lato dei costi amministrativi e di gestione generale, per non parlare del resto. Di più: quando i nodi economico-finanziari vengono al pettine non c’è niente di meglio di una bella fusione per incorporazione per confondere le acque e guadagnare tempo nella speranza che poi tutto si possa sistemare per il meglio con un’incorporazione del gruppo in un gruppo più grande (la multiutility del Nord, ad esempio).
Un sindaco da romanzo
Ma essendo saltata la fusione per incorporazione, Tosi ha optato per il risultato minimo: incassare quattrini subito facendo finta di rafforzare il gruppo. Un’operazione di corto respiro, che dà però un’idea precisa della direzione che verrà impressa d’ora in poi agli affari della città: siamo ormai al mordi e fuggi dettato dagli equilibrismi di bilancio.
La “Verona da bere” non durerà ancora molto e, presumibilmente, trascinerà con sé molti personaggi ora potenti in città, in provincia, in regione e nelle banche.
Ma Tosi no, è a parte. In una Verona che sembra uscita dalle pagine di Massimo Carlotto il sindaco, questo sindaco, ha un’altra caratura. A me che amo la letteratura americana fa venire in mente un personaggio di Stephen King, il Greg Stillson di The Dead Zone. Un romanzo da leggere, anche se non è dei più famosi, perché ci spiega alcune cose riguardo alla nascita dei totalitarismi. Credo che di Tosi e di Verona finiremo con il riparlarne presto, anche perché l’uomo è ambizioso e si candida a qualcosa di più dell’ambito regionale. E già me lo immagino in un futuro post-leghista.
Links utili:
Il procedimento avviato dall’Autorità per l’Energia
Il procedimento dell’Antitrust
qualche anno fa, non ho voglia di tirar fuori le carte dall’archivio, il comune di Verona ha effettuato lavori di restauro nella piazzetta antistante il centro commerciale del Saval – io abito al No. 23. In seguito ad un errore della ditta appaltatrice si è verificato un corto circuito che ha provocato gravi danni a tutti gli abitanti della scala. Nel mio appartamento. si è bruciato tutto: stereo, computer, tutti gli apparecchi radio ed elettrici in tutte le stanze. Ho raccolto le firme degli altri inquilini che hanno subito i medesimi danni e mi sono rivolto ad un avvocato della CGIL. La ditta appaltatrice non ha risposto alla mia raccomandata. Dopo aver detto in malo modo ad un operaio di dire al capocantiere che alle raccomandate si risponde, nell’atrio della porta del retro del no. 23, c’è stato l’incendio di un sedile di auto imbevuto di alcool – di sera – il pomeriggio c’erano stati invece degli scoppi in garage, sotto il mio balcone, ed ho sentito puzzo di povere pirica nera da fuochi di artificio. Inoltre un signore il giorno dopo, ha suonato al mio campanello chiedendo se gli aprivo la porta perchè mandato dall’amministratore per controllare i contatori della puttana di sua mamma. Gli ho aperto, ho chiesto agli altri inquilini se avevano telefonato all’amministratore per problemi di Contatori delle puttane delle loro mamme, e mi è stato risposto di no. Sono sceso per guardare la faccia di merda del Tecnico Mafioso e l’ho visto che si dirigeva verso l’uscita dei garage direzione Via Dandolo. Sono in pensione e stò bene, Ho un’altra curiosità: l’incidente del mio amico ENRICO MARIA CASERTA.
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